Questa volta nessun
post declamatorio, illustrativo, descrittivo, insomma abbasso gli ivo e gli
orio. Soltanto un raccontino. Così per gioco, tanto per raccontare qualcosa
senza raccontare nulla. Spero possa essere comunque di gradevole lettura.
Fronte poggiata sul
vetro della finestra.
Gelo.
Il ragazzino gode al
contatto. Dietro di lui gli adulti chiacchierano.
In realtà è solo la
sua percezione, li sente così distanti.
Tutti.
Se fosse più
interessato si accorgerebbe che invece stanno urlando, litigano.
Con il fiato si diverte a rendere opaco quel vetro così
lucido. È un gioco, vuole vedere se riesce a far risalire la condensa che si
forma ai lati della bocca su su sino a coprire anche la visuale. Non vuole
limitarsi a non sentire, desidera anche non vedere. Nessuno bada a lui, sono
tutti troppo presi dai loro discorsi da adulti.
È una giornata
importante. Si decidono cose che cambieranno la sua vita. Al bambino non
interessa. Sente che quello che veramente conta è già cambiato. Meglio che i
grandi non sappiano quanto ha capito di tutta quella storia.
Il senso di
provvisorietà che lo ha sempre accompagnato è diventato la sua forza.
All'inizio gli faceva male, piangeva spesso, di nascosto. Vedeva sua madre
disperata, con ancora i segni sul volto delle botte prese, e si macerava
dentro. All'uscita della scuola osservava i padri dei suoi compagni e in ognuno
di loro vedeva il proprio padre. Il dolore per l'assenza si trasformava in
odio, avrebbe voluto vedere tutti soli. Come lui era solo. Con il tempo aveva
scoperto che il senso di provvisorietà, di indefinita collocazione, era come
una barca: galleggiava, si dondolava quieta. Poteva osservare il mondo
circostante senza necessariamente dover andare in nessun posto. Poteva
riflettere senza essere disturbato da cose impellenti che distraggono.
Sino a quel giorno.
Alle sue spalle sente
la voce di suo padre. Voce potente, irosa. Gli tremano le gambe. Spicca tra le altre
voci che gli sembrano dei cicalii indistinti. Sua madre, gli avvocati, tutti
gli altri, tutti quanti vengono percepiti come un brusio indistinto.
Percepisce nitide e violente quelle parole:
«Lui non è mio figlio! Non è più mio
figlio».
Stringe con forza la
balaustra della finestra, il fiato gli si blocca in gola. Un urlo prepotente
esplode nella sua testa, lo sente solo lui, fa ancora più male. Non si volta.
Forse se non guarda non sta succedendo davvero.
La condensa si
dissolve e torna a vedere il panorama al di fuori del tribunale dei minori.
Torna nuovamente a farsi distrarre dal mondo circostante. Vede le persone che
passeggiano imbacuccate da cappotti e giubbotti invernali. Sono tutti felici.
Almeno così sembra. Le insegne dei negozi sono addobbate, pronte per il Natale
che si sta avvicinando, in attesa che arrivi il 1980. Un nuovo decennio, forse
un nuovo tutto.
Non si accorge nemmeno
che alle sue spalle il brusio è terminato. Non sente neppure la voce di sua
madre che lo chiama. Continua a dare le spalle a tutti.
Un macigno gli si posa sulla spalla, il bambino sussulta
spaventato, poi il peso si fa subito lieve. È la mano enorme di suo nonno. Il
ragazzino si volta alzando lo sguardo. Era necessario alzare lo sguardo, quando si è soltanto dei ragazzini un metro e novanta sembra un'altezza da giganti. L'uomo con una mano tiene il bocchino
della pipa tra le labbra. Anche lui guarda oltre. O forse no.
«Sai, alle volte, quando ero in
montagna, mentre i tedeschi sparavano e i miei compagni rispondevano urlando e
imprecando, mi capitava di rifugiarmi in un piccolo mondo tutto mio, nella mia
testa. Non era vigliaccheria o voglia di scappare. Prendevo tempo. Davo tempo
alla mia anima di prendere atto di tutto quell'orrore».
L'uomo abbassa lo sguardo e fissa le sue pupille di brace
nera negli occhi del bambino. La stretta sulla spalla si fa di nuovo più forte. Questa volta è calda, avvolgente.
Il bambino vorrebbe piangere, riesce a non farlo. Sente il
groppo in gola sciogliersi, gli occhi si riempiono di lacrime. Tira su col naso
e trattiene tutto.
«Capisci fieul? Non c'è da vergognarsi a desiderare di essere altrove».
«Non ho paura nonno. È solo che non
capisco».
«Ooh, sono sicuro che hai capito
tutto, è che sei un bocia, e certi
bocconi hai solo bisogno di masticarli per bene».
L'uomo con calma ripone
nel taschino della giacca la pipa, poi con tutte e due le mani prende le spalle
del nipote sino a farlo voltare completamente verso di se. I due si guardano a
lungo. Senza parlare.
Non avevano mai avuto bisogno di chiacchiere per capirsi.
Avevano fatto tante cose insieme, quell'uomo gli aveva insegnato tutto quello
che sapeva, le cose belle. Erano riusciti a camminare per ore in montagna senza parlarsi, solo
indicando di volta in volta le sorprese che la natura riservava loro durante il
cammino. Fermarsi nei rifugi e condividere pezzi di pane e formaggio tagliati
direttamente con il coltello da caccia del nonno gli era sempre sembrato il
fatto più incredibile e bello del mondo. I suoi compagni di scuola certe cose
non le avevano mai sperimentate, quelli erano gli unici momenti in cui il bambino si sentiva fortunato.
«Sai cosa facciamo? Domani andremo per
boschi. C'è la neve, sarà faticoso. Si affonda, ci vogliono buone gambe, forza
di volontà e pazienza. Te la senti?».
Il bambino poggia la testa sulla pancia del nonno
abbracciandolo.
«Bada bene, non bisogna far tutto da
soli, nei punti dove la neve è più alta ci mettiamo le ciaspole. Hai capito?
C'è sempre un modo, sempre».
I due tornano a guardarsi. Si sorridono. Inspiegabilmente,
almeno per il bambino questo fatto sembrava assurdo: il nonno aveva ha occhi
lucidi.
L'uomo diede due o tre rudi buffetti sulla testa del nipote.
«Valà, valà che di questo bocia alla fine ne facciamo un bell'Alpino. Cuore saldo e gambe forti, non serve mica altro sai?».
© 2016 di Massimiliano Riccardi
Guarda, i tuoi post "inutili" sono fra i più utili cge leggo :-)
RispondiEliminaBellissimo racconto, pieno di emozione, di vita, di forza, di paura, di voglia di andare avanti. Sei molto bravo ad esplorare le sfumature dei sentimenti.
Grazie Ariano, grazie davvero. Lascia stare la qualità letteraria che è risibile, è comunque un raccontino molto sentito. Grazie ancora
EliminaEcco, vedi? Noi facciamo i minchioni su Fb e poi mi trovo a leggere ste cose! Serie, profonde, commoventi. Ritorna la figura meravigliosa del nonno. Quando una presenza così importante riempie la tua vita, è impossibile non trovare un modo per fargli riempire anche una pagina di bella scrittura. Bravo, Max.
RispondiEliminaGrazie Marina, mi fai commuovere. Niente di che, solo un raccontino, però ci ho messo il cuore. Per il resto, mi avete fatto ridere tanto durante il caxxeggio su FB. Siete belle, bellissime persone.
EliminaUn gran racconto di vita!
RispondiEliminaSaluti a presto.
Grazie Vincenzo, grazie davvero.
EliminaGuarda MASSIMILIANO, sarò pure debole, il periodo non è dei migliori per me, ma tu riesci a farmi commuovere anche in questi racconti così delicati ma tanto profondi, dove le sensazioni scappano via dappetutto e propio questo tutto è raccontato in maniera sublime....
RispondiEliminaGrazie Massi, ti adoro!
Cara Nella, sappiamo bene che il Natale porta alla nostalgia. lo sappiamo vero? Comunque è solo un raccontino che racconta tutto senza raccontare niente. Grazie di cuore per l'affetto che mi dimostri sempre, sai che è ricambiato.
EliminaUn racconto di vita molto toccante, complimenti massy.
RispondiEliminaGrazie Francy. Un raccontino.
EliminaQui siamo andati sul pesante.
EliminaNaaa, e perché?
EliminaIn effetti Rosanna ha ragione....diciamo così anche questo post come altri è un esempio di scrittura terapeutica....
EliminaSì, credo sia vero, in un modo o in un altro bisogna "curarsi da soli" Come diceva il vecchio Seneca: " Imperare sibi maximum imperium est" Comandare a se stessi è la forma più grande di comando. Si supera tutto, basta volerlo.
EliminaVero...hai proprio ragione, anche questa volta mi hai dato un grande insegnamento...
EliminaMa piantala, è che sono più vecchio di te, come si dice... chi non puo' più dare cattivi esempi da buoni consigli 😃😃😃
EliminaNo, Max, non sei uno scrittore, no no... :-O Un salutone!
RispondiEliminaCiao Roby, si scribacchia, tutto lì. Un saluto grande anche a te.
EliminaGrazie del racconto, Max. Mi hai ricordato mio nonno, un omone con cui condividevo camminate di epica lunghezza nei dintorni di Firenze, in gran parte in silenzio.
RispondiEliminaGrazie a te Ivano. Io e te siamo ancora di quella generazione dove certe cose avevano importanza e ancora si facevano.
EliminaEh già, la vecchia cara cultura tribale di pasoliniana memoria ;-)
EliminaEeeh, lui provò a spiegare, ma le risposte furono date solo per stereotipi. Io invece ci vedo amore nello scambio con i nostri vecchi.
EliminaBello e struggente, grazie per averlo condiviso. Complimentissimi, sei molto bravo a creare atmosfere.
RispondiEliminasinforosa
Grazie Sinforosa, sono piccole cose ma ci metto comunque il cuore, poi capisco che il valore letterario sia altra cosa, ma in fondo il senso è nella trasmissione di emozioni.
EliminaMolto interessante, Max.
RispondiEliminaLa forza di questo racconto sta tutta nella scelta dell'uso del presente - che amo in modo particolare - e nella cura dei dettagli. A tratti è quasi ipnotico. Mi piace.
Grazie Luana, niente di che solo una sciocchezzuola, però devo dire che mi fa piacere che tu abbia notato l'uso del presente nonostante l'ambientazione. Voluto apposta, simbolico di come certi avvenimenti passati influenzino l'oggi. Grazie.
EliminaTu scrivi mettendoci molto della tua interiorità, si avverte quasi sempre. Bello anche per come è strutturato, ha ragione Luz a proposito dell'uso del presente.
RispondiEliminaBravo Max!
Grazie Glò, sai che ci tengo al tuo parere. Grazie grazie grazie.
EliminaI post inutili spesso sono i piummigliori ;-)
RispondiEliminaHahahaha diccidincillolo
EliminaDue mondi che si vengono incontro e si abbracciano - quello del nonno e del nipote. Due età diametralmente opposte, ma ricche di emozioni e molto più simili di quanto non sembrerebbe. Racconto molto toccante. Bravo, Max.
RispondiEliminaGrazie Cristina, per mille motivi molto sentito. Poca cosa dal punto di vista letterario, mi rendo conto, però sentito.
EliminaCiao Massi. Maaaa... quando me lo scrivi un romanzo sull'inutilità?
RispondiEliminaMetti via questi post, e pensaci su.
Tu possiedi quella lucina che fa vedere le cose che stanno più nascoste, sai?
Un abbraccio. ^_^
Valentina, intanto grazie, poi detto da te è un gran complimento. Ricambio di cuore l'abbraccio.
EliminaGrazie, davvero commovente. Che bello questo nonno.
RispondiEliminaGrazie Silvia, grazie davvero. Nonno fantastico, vero.
EliminaSe fossero questi i post inutili...
RispondiEliminaRacconto molto toccante, bravo!
Ciao Raffaele, grazie.
EliminaSpero che in questo momento tu riesca, in qualche modo, a trovare un po' di serenità. Mi è rimasto molto impresso quel post che scrivesti tempo fa.
Caro Max, tu punti sempre dritto al cuore e rendi ludici anche i miei occhi.
RispondiEliminaGrazie Giulia. Per mille motivi devo dire che mi sono commosso anche io mentre buttavo giù queste quattro righe sgangherate. Un bacione.
EliminaStupendo spaccato di vita.
RispondiEliminaA volte non servono parole per parlarsi. Serve il cuore
Grazie Patri, doppio grazie per aver trovato la voglia di passare di qui nonostante il tuo momento difficile.
EliminaUn grosso bacio
Per un attimo ho rivissuto un episodio della mia vita. Grande Max!
RispondiEliminaCiao Verbana, grazie. Cose pesanti.
EliminaSono passato un momento per augurarti un sereno Natale a te e famiglia. :D
RispondiEliminaTi ringrazio e ricambio volentieri. Aggiungo che mi fa molto piacere. Ciao Marco, sereno Natale anche a te.
EliminaGli occhi lucidi non sono venuti solo al nonno. Non ho tante parole da dirti. Bravo. Molto emozionante.
RispondiEliminaCavoli, grazie Tiziana, veramente gentile. Auguri di buone feste con chi ami.
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