scrivere per vivere vivere per scrivere

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La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati. (René Descartes) ********************************************************************************************** USQUE AD FINEM

venerdì 23 dicembre 2016

Auguri di Buon Natale. Ultimo post inutile del 2016


Nessun vento è favorevole in senso assoluto, ma per noi sarà preziosa anche una semplice brezza.
Non è farina del mio sacco, ho parafrasato la citazione di un Grande adattandola a quello che è il mio sentire attuale.
Il 2016 sta finendo, spero che sprofondi all'inferno. Un nuovo anno è prossimo. Sono ottimista. Sempre. Anche contro ogni evidenza.
Inutile starsela a menare con atteggiamenti di rivalsa nei confronti del Santo Natale, motteggi da crisi post adolescenziale di rifiuto delle festività canoniche. Inutile direi. È Natale, quindi, come si fa tra personcine perbene voglio fare gli auguri a tutti. Ai visitatori del blog, ai commentatori, agli improvvidi sostenitori delle cose inutili che pubblico, agli amici. Certo, come tutti gli adulti in faccende affaccendati vivo il Natale prevalentemente in funzione dei piccolini che allietano le nostre esistenze. Il Natale è per loro. Però, e sticazzi, però… quel bambinello nella culla…
Ho letto un post stilato dalla Glò de"la nostra Libreria", devo dire che l'immagine di quel bambino può essere sicuramente un bel messaggio per tutti, credenti e non credenti. Forse non tanto per la similitudine che ci ha voluto indicare Gloria, ma piuttosto per festeggiare il bambinello innocente che è in noi, magari sepolto, magari affossato nei meandri più reconditi del nostro inconscio, però vivo e vitale, soltanto un po' spaventato dagli adulti che siamo diventati. Così lontani dall'ordine naturale delle cose, distanti dal vivere comune, dalla fratellanza, con vite così funzionali al sistema e poco addentro all'armonia della natura.
Certo è ovvio che non basta il Natale a cambiare le cose e a far diventare tutti più buoni, quindi potete smettere di grattarvi i coglioni se pensavate che volessi arrivare a questa conclusione.
Il Natale è un rito, e i riti non sono solo noia e ripetitività, sono degli istanti di limbo indecifrabile dove per poco, pochissimo, ci si può permettere il lusso di fermarsi e fare più o meno finta che il vivere comune sia altro dal quotidiano e dal contingente. Bestemmiando, imprecando, criticando, facendo finta di ignorare,  mettendo su tutto il solito teatrino di moderni e razionali avversari della pantomima consumistica, possiamo godere e bearci di piccoli gesti, di delicati doni, di parole di affetto.
Per molti il Natale è foriero di malinconie sopite pronte a esplodere, di tristezza al pensiero di chi non c'è più, di nostalgia verso chi è lontano, anche di tristezza pensando a chi è malato. Io lavorerò il 24, il 25, il 26 e sarò proprio al fianco di chi se ne strabatterebbe volentieri la minchia di fare il "contro a tutti i costi" e vorrebbe soltanto essere a casa a festeggiare con i suoi cari, omaggiando entusiasticamente tutti i luoghi comuni del mondo pur di star bene.
Quindi, eeeh quindi, in virtù di tutto ciò che ammorba il mondo, dello schifo che ci sovrasta e che puntualmente osserviamo tramite i telegiornali o direttamente con i nostri occhi, dico Buon Natale. Guardo il mio bambino felice e dico Buon Natale, ricevo gli auguri da amici ed estranei e dico Buon Natale. Mi godo le gioie semplici perché so che sono l'ultimo rifugio degli spiriti complessi.
Quindi, dicevo, dico Buon Natale a tutti gli amici Blogger con cui ho condiviso molto, con alcuni ho scoperto un nuovo significato di amicizia (un pensiero a Patricia Moll), agli oltre centomila visitatori del blog. Buon Natale anche a te che leggi queste righe sgrammaticate con il sorriso beffardo ridendo della mia banalità. Buon Natale a chi crede e a chi non crede. Buon Natale a tutti, a prescindere e in ogni caso.
Ora voglio cromarvi definitivamente le palle con una citazione, miei cari amici:
"… egli era abbastanza saggio da sapere che su questo globo niente di buono è mai accaduto, di cui qualcuno non abbia riso al primo momento.
E sapendo che in ogni modo la gente siffatta è cieca, pensò che non aveva nessuna importanza se strizzavano gli occhi in un sogghigno, come fanno gli ammalati di certe forme poco attraenti di malattie.
Il suo cuore rideva e questo per lui era perfettamente sufficiente.
Non ebbe più rapporti con gli spiriti; ma visse sempre, d’allora in poi, sulla base di una totale astinenza; e di lui si disse sempre che se c’era un uomo che sapeva osservare bene il Natale, quell’uomo era lui.
Possa questo esser detto veramente di noi, di noi tutti! E così, come osservò Tiny Tim, che Dio ci benedica, tutti!"
Canto di Natale, Charles Dickens

Alla domanda su quelli che saranno i buoni propositi per il 2017 rispondo: " farò quello che posso, sono solo un essere umano". Un bacio a Marina Guarneri che mi ha ispirato.

Buon Natale a tutti.



© 2016 di Massimiliano Riccardi

venerdì 9 dicembre 2016

Di amore, volontà, e altre facezie. Tornano i post inutili


Questa volta nessun post declamatorio, illustrativo, descrittivo, insomma abbasso gli ivo e gli orio. Soltanto un raccontino. Così per gioco, tanto per raccontare qualcosa senza raccontare nulla. Spero possa essere comunque di gradevole lettura.



Fronte poggiata sul vetro della finestra.
Gelo.
Il ragazzino gode al contatto. Dietro di lui gli adulti chiacchierano.
In realtà è solo la sua percezione, li sente così distanti.
Tutti.
Se fosse più interessato si accorgerebbe che invece stanno urlando, litigano.
Con il fiato si diverte a rendere opaco quel vetro così lucido. È un gioco, vuole vedere se riesce a far risalire la condensa che si forma ai lati della bocca su su sino a coprire anche la visuale. Non vuole limitarsi a non sentire, desidera anche non vedere. Nessuno bada a lui, sono tutti troppo presi dai loro discorsi da adulti.
È una giornata importante. Si decidono cose che cambieranno la sua vita. Al bambino non interessa. Sente che quello che veramente conta è già cambiato. Meglio che i grandi non sappiano quanto ha capito di tutta quella storia.
Il senso di provvisorietà che lo ha sempre accompagnato è diventato la sua forza. All'inizio gli faceva male, piangeva spesso, di nascosto. Vedeva sua madre disperata, con ancora i segni sul volto delle botte prese, e si macerava dentro. All'uscita della scuola osservava i padri dei suoi compagni e in ognuno di loro vedeva il proprio padre. Il dolore per l'assenza si trasformava in odio, avrebbe voluto vedere tutti soli. Come lui era solo. Con il tempo aveva scoperto che il senso di provvisorietà, di indefinita collocazione, era come una barca: galleggiava, si dondolava quieta. Poteva osservare il mondo circostante senza necessariamente dover andare in nessun posto. Poteva riflettere senza essere disturbato da cose impellenti che distraggono.
Sino a quel giorno.
Alle sue spalle sente la voce di suo padre. Voce potente, irosa. Gli tremano le gambe. Spicca tra le altre voci che gli sembrano dei cicalii indistinti. Sua madre, gli avvocati, tutti gli altri, tutti quanti vengono percepiti come un brusio indistinto.
Percepisce nitide e violente quelle parole:
«Lui non è mio figlio! Non è più mio figlio».
Stringe con forza la balaustra della finestra, il fiato gli si blocca in gola. Un urlo prepotente esplode nella sua testa, lo sente solo lui, fa ancora più male. Non si volta.
Forse se non guarda non sta succedendo davvero.
La condensa si dissolve e torna a vedere il panorama al di fuori del tribunale dei minori. Torna nuovamente a farsi distrarre dal mondo circostante. Vede le persone che passeggiano imbacuccate da cappotti e giubbotti invernali. Sono tutti felici. Almeno così sembra. Le insegne dei negozi sono addobbate, pronte per il Natale che si sta avvicinando, in attesa che arrivi il 1980. Un nuovo decennio, forse un nuovo tutto.
Non si accorge nemmeno che alle sue spalle il brusio è terminato. Non sente neppure la voce di sua madre che lo chiama. Continua a dare le spalle a tutti.
Un macigno gli si posa sulla spalla, il bambino sussulta spaventato, poi il peso si fa subito lieve. È la mano enorme di suo nonno. Il ragazzino si volta alzando lo sguardo. Era necessario alzare lo sguardo, quando si è soltanto dei ragazzini un metro e novanta sembra un'altezza da giganti. L'uomo con una mano tiene il bocchino della pipa tra le labbra. Anche lui guarda oltre. O forse no.
«Sai, alle volte, quando ero in montagna, mentre i tedeschi sparavano e i miei compagni rispondevano urlando e imprecando, mi capitava di rifugiarmi in un piccolo mondo tutto mio, nella mia testa. Non era vigliaccheria o voglia di scappare. Prendevo tempo. Davo tempo alla mia anima di prendere atto di tutto quell'orrore».
L'uomo abbassa lo sguardo e fissa le sue pupille di brace nera negli occhi del bambino. La stretta sulla spalla si fa di nuovo più forte. Questa volta è calda, avvolgente.
Il bambino vorrebbe piangere, riesce a non farlo. Sente il groppo in gola sciogliersi, gli occhi si riempiono di lacrime. Tira su col naso e trattiene tutto.
«Capisci fieul? Non c'è da vergognarsi a desiderare di essere altrove».
«Non ho paura nonno. È solo che non capisco».
«Ooh, sono sicuro che hai capito tutto, è che sei un bocia, e certi bocconi hai solo bisogno di masticarli per bene».
L'uomo con calma ripone nel taschino della giacca la pipa, poi con tutte e due le mani prende le spalle del nipote sino a farlo voltare completamente verso di se. I due si guardano a lungo. Senza parlare.
Non avevano mai avuto bisogno di chiacchiere per capirsi. Avevano fatto tante cose insieme, quell'uomo gli aveva insegnato tutto quello che sapeva, le cose belle. Erano riusciti a camminare per ore in montagna senza parlarsi, solo indicando di volta in volta le sorprese che la natura riservava loro durante il cammino. Fermarsi nei rifugi e condividere pezzi di pane e formaggio tagliati direttamente con il coltello da caccia del nonno gli era sempre sembrato il fatto più incredibile e bello del mondo. I suoi compagni di scuola certe cose non le avevano mai sperimentate, quelli erano gli unici momenti in cui il bambino si sentiva fortunato.
«Sai cosa facciamo? Domani andremo per boschi. C'è la neve, sarà faticoso. Si affonda, ci vogliono buone gambe, forza di volontà e pazienza. Te la senti?».
Il bambino poggia la testa sulla pancia del nonno abbracciandolo.
«Bada bene, non bisogna far tutto da soli, nei punti dove la neve è più alta ci mettiamo le ciaspole. Hai capito? C'è sempre un modo, sempre».
I due tornano a guardarsi. Si sorridono. Inspiegabilmente, almeno per il bambino questo fatto sembrava assurdo: il nonno aveva ha occhi lucidi.
L'uomo diede due o tre rudi  buffetti sulla testa del nipote.
«Valà, valà che di questo bocia alla fine ne facciamo un bell'Alpino. Cuore saldo e gambe forti, non serve mica altro sai?».





© 2016 di Massimiliano Riccardi