Ci sono
avvenimenti che, prepotentemente, obbligano le persone a staccare dalla vita
sociale, dalle frivolezze. Anche dai problemi quotidiani per quanto gravi, per rientrare
nella dimensione dell’Io più profondo. Prima o poi tocca a tutti.
Sembra strano a dirsi ma, in effetti, il caos della vita, il turbinio della quotidianità spesso ci allontanano dalla parte emozionale profonda e riflessiva del nostro essere. Capita spesso di agire come automi, protesi a risolvere e affrontare istanze contingenti. Quanti di noi possono affermare di essere sempre presenti a se stessi, di aver ben chiaro nella mente ciò che attiene al nostro vero sentire.
Non è forse vero che più facilmente siamo trasportati dagli eventi, dalle circostanze? Quante volte il nostro agire e le decisioni che prendiamo sono un riflesso dell’imponderabile, del caso, oppure di situazioni costruite da altri e noi semplicemente coloro che si adeguano, che seguono la corrente.
Attori di una commedia scritta da un regista sconosciuto, magari anche attori bravi, ma pur sempre solo ed esclusivamente interpreti.
Sembra strano a dirsi ma, in effetti, il caos della vita, il turbinio della quotidianità spesso ci allontanano dalla parte emozionale profonda e riflessiva del nostro essere. Capita spesso di agire come automi, protesi a risolvere e affrontare istanze contingenti. Quanti di noi possono affermare di essere sempre presenti a se stessi, di aver ben chiaro nella mente ciò che attiene al nostro vero sentire.
Non è forse vero che più facilmente siamo trasportati dagli eventi, dalle circostanze? Quante volte il nostro agire e le decisioni che prendiamo sono un riflesso dell’imponderabile, del caso, oppure di situazioni costruite da altri e noi semplicemente coloro che si adeguano, che seguono la corrente.
Attori di una commedia scritta da un regista sconosciuto, magari anche attori bravi, ma pur sempre solo ed esclusivamente interpreti.
È facile pensare di se stessi come a persone consapevoli, in grado di esercitare
il controllo sulla propria vita, sui propri sentimenti. E’ facile, ma non è
così abituale come crediamo.
Chiudere gli occhi e leggersi dentro è un'operazione difficilissima.
Troppi di noi vedendo quello che realmente sono impazzirebbero, oppure proverebbero moti di rivolta nei confronti di chi gli impedisce di spiccare il volo verso la giusta auto realizzazione. In fondo, anche quella che scambiamo per vera consapevolezza è trasposizione mediata dalla cultura, dai piccoli interessi personali, dalle aspettative che gli altri ripongono in noi, da ciò che permettiamo agli altri di cogliere. Anche il nostro immaginario e le nostre riflessioni giornaliere sono facilmente indotte, un riflesso degli accadimenti. L’introspezione, questa chimera. Introspezione onesta, radicale, quella che scava, quella che ti mette a nudo.
Chiudere gli occhi e leggersi dentro è un'operazione difficilissima.
Troppi di noi vedendo quello che realmente sono impazzirebbero, oppure proverebbero moti di rivolta nei confronti di chi gli impedisce di spiccare il volo verso la giusta auto realizzazione. In fondo, anche quella che scambiamo per vera consapevolezza è trasposizione mediata dalla cultura, dai piccoli interessi personali, dalle aspettative che gli altri ripongono in noi, da ciò che permettiamo agli altri di cogliere. Anche il nostro immaginario e le nostre riflessioni giornaliere sono facilmente indotte, un riflesso degli accadimenti. L’introspezione, questa chimera. Introspezione onesta, radicale, quella che scava, quella che ti mette a nudo.
Un bel
giorno, sei distolto dalla routine quotidiana. Un colpo violento ti riporta
alla realtà, quella vera, quella degli affetti più cari. Una brutale e
incomprensibile violenza cala nella tua vita: tuo padre o tua madre muoiono.
Improvvisamente rimani in bilico tra le cose, ascolti le voci degli altri come
giungere da lontano. Tutto diventa ovattato, filtrato dal dolore schiacciante,
opprimente. Un pugno violento che stordisce.
Non perdi un amico, che è un dolore grande, o una persona amata, che è un dolore immenso, perdere un genitore è un dolore che attiene alla psiche, alla biologia umana, alla comunione di codici genetici che diventano brandelli sfilacciati.
È qualcosa di così profondo e inspiegabile da lasciare attoniti, sbigottiti di fronte a un evento che se riferito ad altri reputiamo normale, naturale. Ma quando tocca a noi... Non è un semplice distacco da qualcosa o qualcuno che amiamo, è una vera amputazione di una parte vitale del nostro essere.
Forse per la prima volta, le eterne domande sulla vita, l’amore, sui valori, su chi siamo, tornano crudelmente a fare capolino nella nostra mente. Tutte le sicurezze si frantumano. L’orrido mostro che è la morte, che prima ci appariva come qualcosa di vero e ineluttabile ma tutto sommato lontano e che riguarda principalmente gli altri, bussa con forza alla porta della nostra anima. Devi fare i conti con i tuoi sentimenti, con la percezione che hai di te stesso, ti rendi realmente conto della finitezza delle cose e delle persone. Realmente, senza ombra di dubbio e nel modo più tragico. Le mille domande, le eterne domande sul senso della vita ti perseguitano sino a stordirti. Io, ovviamente, non sono in grado di dare risposte.
Sicuramente una personalità strutturata può benissimo elaborare il lutto per la perdita del papà, come si dice: la vita va avanti. Si torna a sorridere. Certo è vero, ma sorridi un po’ meno, impercettibilmente. In una parte del tuo essere rimane per sempre un’ombra di malinconia. Il tuo sorriso, anche se non si vede, è un po’ più tirato, perché una parte del tuo sangue e della tua carne è venuta a mancare, sei incompleto. Si smette di essere figli, non importa a quale età. Paradossalmente si ottiene anche una piccola conquista. Una sorta di libertà. La libertà di rendere onore spontaneamente e non soltanto perché i genitori sono presenti, a chi ci ha messo su questo mondaccio infame, rendere onore ai sacrifici fatti per crescerci, rendere onore alle loro aspettative cercando di essere persone migliori. Anche di essere qualcosa di diverso perché al riparo dal giudizio di qualcuno di importante per noi. Sempre però con un pensiero fuggevole e dolente che ogni tanto ci farà venire un groppo in gola a prescindere dalla situazione che stiamo vivendo.
Non perdi un amico, che è un dolore grande, o una persona amata, che è un dolore immenso, perdere un genitore è un dolore che attiene alla psiche, alla biologia umana, alla comunione di codici genetici che diventano brandelli sfilacciati.
È qualcosa di così profondo e inspiegabile da lasciare attoniti, sbigottiti di fronte a un evento che se riferito ad altri reputiamo normale, naturale. Ma quando tocca a noi... Non è un semplice distacco da qualcosa o qualcuno che amiamo, è una vera amputazione di una parte vitale del nostro essere.
Forse per la prima volta, le eterne domande sulla vita, l’amore, sui valori, su chi siamo, tornano crudelmente a fare capolino nella nostra mente. Tutte le sicurezze si frantumano. L’orrido mostro che è la morte, che prima ci appariva come qualcosa di vero e ineluttabile ma tutto sommato lontano e che riguarda principalmente gli altri, bussa con forza alla porta della nostra anima. Devi fare i conti con i tuoi sentimenti, con la percezione che hai di te stesso, ti rendi realmente conto della finitezza delle cose e delle persone. Realmente, senza ombra di dubbio e nel modo più tragico. Le mille domande, le eterne domande sul senso della vita ti perseguitano sino a stordirti. Io, ovviamente, non sono in grado di dare risposte.
Sicuramente una personalità strutturata può benissimo elaborare il lutto per la perdita del papà, come si dice: la vita va avanti. Si torna a sorridere. Certo è vero, ma sorridi un po’ meno, impercettibilmente. In una parte del tuo essere rimane per sempre un’ombra di malinconia. Il tuo sorriso, anche se non si vede, è un po’ più tirato, perché una parte del tuo sangue e della tua carne è venuta a mancare, sei incompleto. Si smette di essere figli, non importa a quale età. Paradossalmente si ottiene anche una piccola conquista. Una sorta di libertà. La libertà di rendere onore spontaneamente e non soltanto perché i genitori sono presenti, a chi ci ha messo su questo mondaccio infame, rendere onore ai sacrifici fatti per crescerci, rendere onore alle loro aspettative cercando di essere persone migliori. Anche di essere qualcosa di diverso perché al riparo dal giudizio di qualcuno di importante per noi. Sempre però con un pensiero fuggevole e dolente che ogni tanto ci farà venire un groppo in gola a prescindere dalla situazione che stiamo vivendo.
Quando
un genitore muore inizia il vero cammino. Siamo veramente soli e dobbiamo
realmente fare i conti con la nostra anima. Si stacca quel filo celeste che ci
tiene legati all’eternità, al passato e ai secoli andati. Possiamo perderci o
diventare a nostra volta radici profonde, alberi massicci per affrontare le
intemperie e, quando è possibile, rami robusti per i nostri figli. È il giro di
boa infinito, l’eterno ciclo che continua.
© 2015 di Massimiliano Riccardi
Riflessione profonda e non banale. Concordo sulla distinzione... in questo caso non si tratta di semplice perdita, ma di amputazione.
RispondiEliminaGrazie Ivano. Alla fine, in tutto questo marasma, le cose che veramente contano sono riconducibili all'amore, alla carne e al sangue... il resto è fuffa di contorno.
RispondiEliminaD'accordo anche su questo... i vichinghi la chiamavano "sippe" e anche per loro era la sola cosa davvero importante al mondo.
EliminaSippe mi piace, è più evocativo e profondo oltre a dare un senso più allargato rispetto al prosaico termine "famiglia".
EliminaSottoscrivo.
RispondiEliminaCi sono passato ed è una ferita che lascia una cicatrice profonda ed eternamente duratura.
Sì, alla fine penso che certi dolori più che alcune gioie siano ciò che ci caratterizza.
EliminaLa mia esperienza è stata di molto diversa. Forse a causa del mio modo di essere e di vivere, staccato dal resto del mondo. Mi rendo conto che è un grosso limite, ma proprio in casi come questi, aiuta a vedere tutto dall'esterno, a filtrare le sensazioni, a farle venire fuori al momento più opportuno, dopo che hanno percolato nell'anima e si sono purificate dalle emozioni del momento. Non ho pianto né quando è morto mio padre né quando morì mia madre a distanza di 3 anni ma l'ho fatto al funerale di mia cugina e di una persona non di famiglia ma con cui avevo trascorso molti anni insieme. Forse questo è dipeso dal tipo di rapporto instaurato con loro. Mio padre e mia madre erano persone chiuse, non fredde, ma difficilmente esprimevano, anche con noi figli, le proprie emozioni in positivo e in negativo; quindi anche io ho come creato un muro tra me e loro. C'è un ricordo legato a mio padre, pochi mesi prima della sua morte che mi torna spesso alla memoria in questi ultimi tempi e che è stato forse il primo e unico gesto d'affetto nei suoi confronti; ma permettimi di conservarlo per un post che ho già cominciato a scrivere per il blog e che pubblicherò nei prossimi giorni. Grazie di aver condiviso queste riflessioni con noi.
RispondiEliminaPer quello che riguarda me vivo da sempre con un senso di provvisorietà talmente acuto da essere quasi palpabile. Non ho grandissimi riferimenti cui aggrapparmi. Ho cercato in maniera empatica di calarmi nel dolore di un amico. Non so se ci sono riuscito. Il mio senso di abbandono (non ho un padre dall'età di 4 anni e ora ne ho 47) non mi ha permesso di elaborare correttamente un vero e proprio lutto. Affrontare quel tipo di dolore forse aiuta a riflettere su altri tipi di lutti e di abbandoni.
RispondiEliminaMassimiliano , non ti conoscevo , ma sono stata fortunata in questa afosa domenica a passare per caso dal tuo blog.
RispondiEliminaLa tua è una riflessione , un'introspezione accurata e giusta,e lo afferma una che può dire di non avere mai avuto per disgrazia gentori" veri" ma persone che mi hanno messo al mondo forse perchè sono capitata per caso, che mi hanno fatto passare un'infanzia, non brutta credimi, in collegio, possedendo tutto a non avendo poi niente , perchè mancavano i valori , quelli veri. E li ho trovati molti anni dopo con il mio compagno che è andato via così improvvisamente ,dopo una lunga malattia lontana dalla sua morte, lacerandomi, cambiandomi, ponendomi nel teatro della vita da sola a recitare una parte che spesso mi riesce a stento ma deve fare il suo spettacolo.
Grazie del tuo post amico mio.
Sarei tanto felice ricambiassi la mia iscrizione.
In ogni modo ti lascio il link
Grazie e un abbraccio
http://rockmusicspace.blogspot.it/
Ti ringrazio tantissimo per la tua testimonianza. Alla fine, come dici tu, quello che conta sono i valori, e le persone che ci fanno conoscere l'amore, quello vero, fatto di compenetrazione totale. Ricambio volentieri l'interesse che hai dimostrato per il mio piccolissimo blog, Un caro saluto.
EliminaCome avrai notato già ti seguivo tramite l'account di google. Ciao di nuovo.
EliminaUna sola parola caro Massimiliano......un grazie veramente dal profondo del cuore!:::)))
EliminaPadre e madre, due presenze tanto fondamentali e ovvie...che te ne accorgi davvero quando se ne vanno. Poche parole, un abbraccio e il rimpianto, per me, di averli a 100 Km.
RispondiEliminaSì Marco, è una grossa fortuna quando si riesce a percepire la vita a livelli più profondi senza dover aspettare batoste che ti obbligano a riconsiderare tutto. Le sciocchezzuole da scribacchino che hai letto erano un invito a fare questo.
RispondiEliminaHo vissuto sia la perdita di mio padre che di una mia cognata, per me come una sorella, scomparsa qualche mese fa.
RispondiEliminaLa morte di mio padre è stato qualcosa alla quale eravamo preparati, perchè gravemente malato da molti anni. La morte di mia cognata è stata un filmine a ciel sereno, perchè è stata uccisa da suo figlio adottivo in un moto di rabbia. Ciò ha fatto di lei una madre martire e una vittima di femminicidio assieme. Una tragedia immane e senza fine che ha diviso le nostre vite in un prima e un dopo. E così impari che la vita non è fatta solo di bellissime albe e tramonti, anche di lacrime, dolore, sangue e disperazione.
Luz, è proprio come dici tu. Le lezioni che ci da la vita sono sempre spietate. Fredde. Assolute. La differenza la facciamo noi per come riusciamo a risollevarci, per come riusciamo a guardare con amore le persone a cui teniamo nonostante il peso che ci portiamo nel cuore. Grazie per aver voluto condividere questa esperienza, non ci sono nemmeno parole per descrivere certe cose.
RispondiEliminaDifficile aggiungere qualcosa a una riflessione così bella e profonda. Però ci tengo a dirti quanto sento vere le tue parole.
RispondiEliminaIo ho perso vent'anni fa una zia a cui ero molto affezionata e ci sono giorni in cui ancora mi capita di svegliarmi senza riuscire a credere che non ci sia più. Sono dolori che il tempo non attenua, esperienze che ti portano a ricondurre ogni cosa della vita nella giusta proporzione. Grazie per averne parlato.
Grazie a te Maria Teresa, il succo del discorso è proprio questo, bisogna cercare di rimanere presenti a se stessi il più possibile, farsi coinvolgere troppo dalla routine ed eleggerla a priorità ci fa perdere il vero senso delle cose. Un salutone.
RispondiEliminaCi sono passato diciotto anni fa. Capisco benissimo. Sono ferite che alla lunga si rimarginano ma non del tutto. Spesso mi tornano alla mente delle immagini, come dei fotogrammi, di quegli ultimi giorni di mio papà. Sono immagini terribili a cui nessuno dovrebbe mai assistere.
RispondiEliminaCome tutte le persone sensibili non ti sei chiuso al sentimento, basta leggerti qui per capirlo: http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2015/06/ciao-tata.html , non esiste una graduatoria di genere o di specie quando si vuole bene.
RispondiEliminaRispondiElimina
è vero quando dici che quando muore un genitore inizia il cammino, sarei voluta essere un albero e mettere solide radici, ma la Vita mi ha chiamato ad un'altra battaglia questa volta dovevo combattere per me, mia madre era appena morta da 15 giorni, la sua era una battaglia persa in partenza ma lei non si è mai arresa e questo è l'insegnamento più grande che ci ha lasciato, si combatte sempre e comunque per la Vita ... forse è anche per questo che il cammino per riprendermi la Vita lo faccio lentamente, ma costantemente vado avanti, lo devo a me stessa, ai miei figli che hanno ancora bisogno di me, a chi mi vuole bene , a chi combatte la battaglia e purtroppo la perde. Scusa sono pensieri confusi, ma ti ringrazio .
RispondiEliminaun abbraccio
Sono io che ringrazio te per la tua testimonianza. Non sono affatto pensieri confusi, anzi. Non ci sono certezze nella vita, forse se una c'è è la lotta. Lotta per non perderci, lotta per conservare l'amore nel cuore, lotta per finire magari nella merda fino al collo ma con il viso sempre rivolto alle stelle. Arrendersi mai. Per "mestiere" con i miei pazienti valorizzo con loro l'ultimo gesto, l'ultimo respiro, l'ultimo sguardo, ogni istante è importante e sacro,sempre.
EliminaLeggo ora ma questo tuo pensiero è una cosa così vera così profonda che lho riconosciuta nei miei stati d'animo. ..e dopo 10 anni è ancora così dolorosa forse per parole non dette ...per chiarimenti non arrivati. ..andrò avanti così. ...ma grazie leggere mi ha fatto bene
RispondiEliminaGrazie a te Giusi. Sì, credo che ci siano cose che nel bene e nel male lasciano segni profondissimi nel nostro cuore. Un grosso abbraccio.
EliminaParole grandi e profonde le tue Max. E anche quandomarrivi a dire, dio se ci sei o lo guarisvi o lo prendi perchè e un uomo non un mostro da soffrire così, quando giunge il momento ti si apre un baratro sotto ai piedi e tu ci cascho dentro corpo e anima. Nella caduta ti ferisci e sono ferite che anche cicatrizzate faranno sempre male. Perché una parte di te muore con loro
RispondiEliminaUn bacio
Sì, è così. Quando è morto chi mi ha fatto da padre è scomparsa una parte di me, io sento ancora il dolore per quella perdita. Ci penso tutti i giorni, alle volte con gioia, alle volte con malinconia, spesso con una profonda tristezza.
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