scrivere per vivere vivere per scrivere

scrivere per vivere vivere per scrivere
La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati. (René Descartes) ********************************************************************************************** USQUE AD FINEM

mercoledì 2 marzo 2016

Post inutile, facezie sull'incomunicabilità e l'amore


Vi propongo un racconto. Ma è solo un racconto?
Forse.
Chissà


«Possiamo parlare?»
«Certo che possiamo, sempre. Lo sai.»
È iniziato tutto così. Ti siedi di fronte a un adolescente che ti guarda con occhi nervosi, quasi febbricitanti. Capisco bene lo sforzo immane che gli è costato fare una richiesta del genere. È difficile aprirsi. È difficile aprirsi con me, non sono suo padre: sono quello che si impone, dà le regole. A parer suo senza averne il diritto. Incomunicabilità.
Apparentemente.
E ti racconta.
Un modo strano di raccontare. Tutto esce fuori con violenza, vibrante, tremante, angosciante. Come un conato di vomito che ti scuote le viscere. Nelle parole c'è durezza, malinconia, rabbia, richiesta di aiuto. La brutalità selvaggia della gioventù.
L'onestà della gioventù.
Ti racconta di com’è faticoso vivere. Di come si sente solo pur avendo amici, famiglia, compagni di scuola. È una solitudine strana. È più un vuoto.
Incolmabile.
Un perenne stato di provvisorietà. Di attesa. Attesa di qualche cosa che non arriva mai.
Poi ti descrive le giornate lasciate scorrere via senza uno scopo, delle ore di apatia. Perché nella testa non c'è niente, niente sogni, nessun obiettivo. Inerzia, bulimia. Poi ti dice che nei periodi che non è qui con noi e sta a casa con suo padre, passa il tempo sdraiato sul divano a farsi canne su canne, e a bere. Senza piacere, senza gusto. Non riesce nemmeno più a provare divertimento, benessere, senso di pace. Quando è solo in casa, le sue giornate sono così, quando c'è suo padre vivono uno in una stanza e uno nell'altra, senza parlare. La vicinanza c'è, ma le cose non dette hanno uno spessore quasi doloroso, come fossero dei paraflutti che colpiscono il molo. A quella cazzo di banchina non ti avvicini mai del tutto. C'è sofferenza. Il silenzio fa male.
Io lo guardo, attento a non interromperlo. Scalpito, ma è necessario non frenarlo. Vedo i suoi occhi lucidi. Viene da piangere anche a me. Mi faccio violenza e non mi lascio andare. Adesso non è importante quello che provo io.
Mi dice che in questi ultimi mesi ha pensato molto a me. Alla rabbia che ha provato per le imposizioni sugli orari, sugli obblighi legati all'aiutare la mamma, il fratellino. All'odioso obbligo di dedicare ore allo studio. Mesi in cui per sua scelta ha deciso di non venire più da noi, di stare da suo padre, di fare il cazzo che voleva senza controlli. Mi trattengo dal dirgli quanto male ci ha fatto, quanto dolore ha provocato alla sua mamma con i suoi continui rifiuti e le "comparsate" soltanto quando aveva bisogno di cose, soldi o quant'altro. Mi trattengo. Non è importante, adesso.
Io gli rispondo che tutto ciò è comprensibile, che però il legame tra noi c'è, che le liti e le brutte cose che si dicono nei momenti di rabbia hanno poco valore per me. È una cosa che da giovani è difficile da comprendere. Quando si è ragazzi è tutto nero o bianco. Gli dico che il legame con chi si ama c'è sempre e non si interrompe semplicemente a causa delle incomprensioni.
Inaspettatamente mi dice che io sono un gran rompicoglioni, “un rompicoglioni a livelli mondiali”, per la precisione. Lo dice sorridendo. Mi dice che si sta perdendo, che ha paura. Mi racconta che le giornate di assoluta libertà si traducono in inerzia. Mi chiede di poter tornare più stabilmente con noi. Mi dice che sono uno scassa cazzi perché, alle volte, i padri devono esserlo. Me lo dice cambiando il tono di voce, con una profondità che mi scuote. Mi dice che odia i mezzucci che ha sperimentato per dare un senso alle sue giornate. Che non ha bisogno delle canne o delle birre. Mi dice che ha bisogno di cenare chiacchierando del più e del meno, che ha bisogno di sentirsi rompere le palle dal fratellino, pesantissimo e sfibrante e pieno di richieste, dalla mamma che si impiccia delle sue amicizie e di chi frequenta. Mi dice che ha bisogno che gli siano rotte le palle perché non studia, perché non si rifà il letto. Mi dice che ha bisogno di essere così importante per qualcuno da voler perdere del tempo nell'occuparsi di lui. Mi dice che ha bisogno di qualcuno che s’incazza quando sgarra. Vuole far parte di qualcosa. Vuole fare. Vuole esserci.
Poi quasi a voler stemperare tutta quella valanga di emozioni mi racconta di un ricordo legato alla mia passione per i libri che ho cercato di trasmettergli sin da quando era bambino, di come ha ripensato alle menate che gli procuravo quando sottolineavo che è necessario assegnare un nome alle cose, è necessario attribuire un nome alle emozioni. È necessario conoscere nuovi tipi di linguaggio. Come sia importante confrontarsi con il pensiero e le esperienze di chi ha vissuto prima di noi. Che un cibo non è solo buono o schifoso, ma che può essere gradevole, gustoso, stuzzicante, insipido, stomachevole, saporito, può essere tante cose. Che ha capito di aver bisogno di conoscere più parole possibili, per essere in grado di dare un nome a quello che ha nel cuore e che lo schiaccia. Lo guardo e mi immagino il ponte levatoio che si abbassa, le guardie sulla cinta muraria che si ritirano in buon ordine. Rimaniamo per un po' a guardarci negli occhi, non ci tocchiamo, nessun gesto di affetto o cameratismo, ci guardiamo e basta. È così perché io sono un orso e anche se vorrei abbracciarlo, mi riesce difficile farlo, e lui perché … è come me. Non importa.
È un inizio, un nuovo inizio.
Forse.

Chissà.


© 2016 di Massimiliano Riccardi

49 commenti:

  1. Il narratore del racconto è indiscutibilmente un uomo fortunato ;)
    Davvero toccante.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Tom. Il narratore del racconto è incasinato. Quattro figli di cui tre suoi e uno come se lo fosse. Dei quattro tre sono adolescenti, il narratore scopre di volta in volta, se ce ne fosse bisogno, che c'è ancora molto da imparare. Gesùmmioddio, a lè 'ncasin.

      Elimina
  2. Emozionante Max! Emoozionante e vero!
    Tu parli di racconto ma è anche realtà. Coi figli adolescenti, propri o no, c'è sempre questa battaglia per la propria vita. Fa vittime che non sanguinano ma soffrono.
    E' una battaglia nel percorso della stessa vita. Utile per comprendersi anche se se ne farebbe a meno.. anche se si vorrebbero trovare strade più semplici. Meno dolorose.

    Sì, il dialogo è un nuovo inizio. L'inizio di un viaggio per entrambi.
    Da una parte chi deve educare che apre gli occhi in modo diverso scoprendo che sì, è vero, quell'adolescente ribelle è un individuo, un essere umano. Già si sospettava ma non si pensava così fragile e bisognoso di aiuto. Così incapace di chiederlo soprattutto.
    Dall'altra c'è l'adolescente ribelle che improvvisamente si rende conto che obblighi e restrizioni non sono un tanto al chilo... che non esistono per rovinare la vita ma per renderla migliore col tempo, più consapevole, più forte... magari anche più chiara.
    E che tutto sommato, anche la controparte ha necessità del suo aiuto..
    Max.. ti adoro! Sei un grande!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Patri, poi tu sai che è un periodo un po' del piffero, quindi hai colto esattamente quello che volevo dire. I ragazzi non si rendono conto quanto ci sia dietro alle ruvidezze e alle imposizioni in termini di amore, speranza, protezione.
      Bando alle ciance e alle malinconie, siamo cantastorie ed è tutto un gioco, si fa per parlare nè?
      Ti mando un bacio grosso come una casa.

      Elimina
  3. Certo stella che si fa per parlare. E' un racconto, no? Però da mamma ti posso garantire che la verità l'hai detta.. ops.. scritta. Ormai l'età dell'adolescenza è lontana, ne ha compiuti 26, però anche senza canne o birra o alcool vario, come tutti gli adolescenti anche la figlia ha protestato, tenuto il muso, soffiato..
    E' la vita.
    Bacio a te!

    RispondiElimina
  4. nel mentre ho pianto ... sono calde e salate ... come quelle di tutti ...e mi chiedo che avrebbe fatto il ragazzo se tu se colui che ascolta l'avesse abbracciato ... avrebbe pianto e fa bene ...
    eh già sei proprio bravo ... scuoti il cuore
    un abbraccio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Giusi, grazie. Non aggiungo altro,mi prendo i complimenti e mi li godo come una coccola.

      Elimina
  5. Buona fortuna...a questo piccolo grande uomo..che è tornato perché l amore, quando lo senti e lo vivi sulla pelle e nel cuore poi ti manca quando non lo hai...Chissà che non riesca a rompere prima o poi altri muri e vi trovi dietro altrettanto amore..un amore che forse non ha mai imparato ad esprimersi...Chissà...Ti abbraccio fortissimo Max...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Paola. Tu sei una dottoressa del cuore in tutti i sensi. Ti abbraccio anche io.

      Elimina
  6. Molte incomprensioni si potrebbero smussare se ci si sedesse e ci si aprisse l'un l'altro.
    Però molti non ne sono capaci e sorvolano, o fanno finta di sorvolare.
    Ma non è il tuo caso e, leggendoti, credo di poter dire che il ragazzo abbia capito di potersi aprire con te senza umiliarsi, avendo respirato durante la convivenza, la profonda umanità che emani.
    Cristiana

    RispondiElimina
  7. La vita vera, la vita vissuta, crea i racconti più pieni, più drammatici e più commoventi, quelli che la letteratura può solo pallidamente imitare.
    Credo che l'adolescente apatico abbia trovato il miglior interlocutore possibile per superare il momento difficile che sta vivendo ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Ariano, siamo tutti e due papà, possiamo toccare con mano e immaginarci mille mondi per i nostri figli.

      Elimina
  8. ....quando senti l amore di un "non padre rompicoglioni"..di una mamma..di un fratellino pallossissimo.. bruciare sulla pelle...quando senti l amore vero bruciare sulla pelle..e poi te ne allontani..allora capisci che quel bruciore era vita e quella vita ti manca...Felice che questo ragazzo adolescente abbia avuto questa grande possibilità..sperimentare questo amore...Felice che abbia saputo chiedere di poterlo riavere...e che abbia trovato il cuore aperto...Chissà che un giorno dietro a quello spesso muro di silenzio non trovi altrettanto amore assolutamente incapace di esprimersi...
    Grazie Max...Un abbraccio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Paola. Questo ovviamente è solo un racconto fatto da uno scribacchino in erba. Diciamo che so di persone che hanno dovuto sobbarcarsi tutto lo schifo delle maldicenze, delle cattiverie gratuite mentre contemporaneamente queste stesse persone non potevano soffermarsi a combattere tutto ciò perché la priorità era ricostruirsi una vita che per una scelta di amore aveva coinvolto dei bambini. Lotta dura, solitaria, sopratutto quando la controparte ha usato il suo bene più prezioso come un arma, e la diffamazione come forma di comunicazione. Ma sono solo storie. Racconti. Alla fine, sempre, tutti i nodi vengono al pettine. Mi dispiace per chi non è in grado di leggersi dentro e vive solo di facciata. Questo non padre del racconto ha raccolto negli anni le confidenze sui primi amori del ragazzo, c'è stato quando era malato, lo ha curato, gli ha comprato il primo computer della sua vita, è stato una valvola di sfogo, lo ha ascoltato per serate intere, lo ha guidato e consigliato, gli ha fatto il mazzo per la scuola ecc..E' tutto frutto della fantasia, sono contento che questo mio scribacchiare sia piaciuto. Belin, per uno scrittore di thriller è stata una faticaccia.

      Elimina
    2. Non c era nessun giudizio nei confronti di questo non padre...anzi...Questo non padre è alla fine un grande padre...e il ragazzo che torna questo lo sa...
      Un abbraccio allo scrittore di thriller! !

      Elimina
    3. Non c era nessun giudizio nei confronti di questo non padre...anzi...Questo non padre è alla fine un grande padre...e il ragazzo che torna questo lo sa...
      Un abbraccio allo scrittore di thriller! !

      Elimina
    4. Sì, sì, avevo capito Paola, ho solo allargato il discorso, tutto lì. Grazie per i bellissimi commenti che hai lasciato, sai che ti ho sempre stimato come Donna e come medico. In merito al romanzo ho solo bisogno di maggiore diffusione. Ti mando un bacione grande.

      Elimina
  9. Ogni volta che ripenso all'adolescente che son stato io, mi vien voglia di avere una macchina del tempo per tornare indietro e dargli un paio di sonori ceffoni... altro che baci e abbracci! Come vedi non sarei un buon padre.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Vale anche per me Ivano, sono stato un adolescente moooolto problematico. Per il resto non c'è merito nell'essere padre. In quanto all'Ivano papà... credo che lo saresti, un buon padre intendo.

      Elimina
  10. Il racconto ha l'aspetto di uno psicodramma... Ascoltare oggi, nella società dell'ipercomunicazione, è la cosa più difficile e complessa, perché la difficoltà sta anzitutto, a mio avviso, nel parlare, nell'esprimere sensazioni, angoscie, gioie, dolori. Tutto ciò è molto più vero per un adolescente che in questo mondo dell'incomunicabilità c'è cresciuto. Oltre alla 'normale' difficoltà dei rapporti interpersonali si fa strada la mancanza di mezzi per esprimersi, di parole che corrispondano a realtà interiori. Eppure basterebbe parlare di 'amore', 'perdono', 'accoglienza', con un parlare, però, che sia sostanziato da comportamenti conseguenti. Spulciando nei social salta subito agli occhi che le parole dette sono 'abusate': tutti si definiscono l'un l'altro "amore" "tesoro"; ci si dice " ti amo" senza sapere cosa significa nel profondo. Il ragazzo del racconto, evidentemente, sapeva che l'altro era capace di questo, di dare il giusto peso alle parole, di esere empatico, altrimenti non avrebbe neanche iniziato il discorso. Bel racconto!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Juan, senza falsa modestia credo anche io che sia un bel racconto. Sì, è uno psicodramma proprio per le cose che hai elencato tu. La vita moderna è diventata uno psicodramma. Schizofrenica, anaffettiva, ipocrita, poco buona ma molto buonista.

      Elimina
  11. Semplicemente bello e toccante
    sinforosa

    RispondiElimina
  12. Grazie Sinforosa, tu per mestiere ne sai di gioventù.

    RispondiElimina
  13. Io sono figlia, non sarò mai mamma.
    Ma quello che hai raccontato è quello che mi capita di intravedere negli occhi di molti ragazzi che incrocio, per vita, per affanni, per caso.
    Hanno bisogno di famiglie e case che li accolgano, che li sostengano, che li spronino. Che non li abbandonino su di un divano, dimenticando che per un genitore la priorità sono i figli. Poi viene l'io.
    Grazie per il bel racconto e per le riflessioni.
    Un abbraccio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie a te Mariella, come vedi non hai bisogno di essere mamma, hai capito tutto. Il punto è proprio quello che descrivi.

      Elimina
  14. Essere adolescenti è davvero difficile, quando ho scritto Fine dell'estate ho dovuto fare un percorso a ritroso verso l'adolescente che ero, ho riletto il mio diario. Ero davvero insopportabile, triste e pessimista senza rimedio. Crescendo sono decisamente migliorata. Riflettendoci bene penso che sia normale che un adolescente sia così, tutta la vita davanti da sbagliare, tutte le incertezze nel futuro. Insomma è Importante avere dei punti di riferimento, degli adulti solidi e fermi che possano rassicurare e ascoltare. Emozionante il tuo racconto di vita.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Giulia, anche tu scrivi quindi sai come è difficile tradurre in parole certe cose.

      Elimina
  15. Penso sia pure giusto che gli adolescenti facciano gli adolescenti. Lo sono stata troppo poco, ed è male.
    Quindi sono sempre dalla parte dei ragazzi, e non sopporto quando si dice (non tu, non qui) che sono "vuoti": non sai come mi inalbero :P
    Bello il racconto!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certo Glò, nemmeno io sopporto certe cose, ho a che fare con tre adolescenti, oltre a Pietro il nano delinquente minorile quattrenne. Racconto di un disagio pesante, di una richiesta di aiuto. Purtroppo questi problemi esistono, eccome. Ti assicuro. Per il resto grazie, sono contento che il "racconto" ti sia piaciuto.

      Elimina
  16. Un buon ascoltatore può far molto, dà la possibilità all'altro di sfogarsi e parlare; restando ad ascoltare attenti, costringi l'altro a spiegare nel modo più chiaro possibile come si sente; involontariamente si costringe chi parla a far chiarezza anche a se stesso.
    L'adulto del racconto è decisamente un buon padre.
    Mi ricordo di un incontro dove si parlava di menopausa, non ricordo se l'esperto di turno era uno psicologo o un medico, comunque disse:-In menopausa, gli ormoni impazziscono ed è come essere tornati nell'adolescenza, si sa come ci si entra, non si sa come si esce.
    Mi ha fatto morir dal ridere perché mi sono sentita come una ragazzina.
    Ci sono tappe nella vita in cui si è davvero fisicamente molto bombardati, ed avere delle solide sponde aiuta moltissimo. Ogni convivenza famigliare ha le sue regole, e le regole aiutano a muoversi all'interno di essa, comprendi meglio quale è il tuo ruolo e cosa vogliono gli altri da te, puoi contestare ciò che esiste non ciò che non c'è.
    Amare è esserci quando ne hanno bisogno, anche nelle discussioni, e il ragazzo del racconto allontanandosi lo ha capito. Molto difficile essere bravi genitori perché per crescere bisogna anche lasciarli sperimentare. quello che tiene tutto unito è l'empatia, l'amore che loro devo comunque percepire anche nelle regole.
    Massimiliano, l'orso del racconto mi hai commosso.
    In groppa al lupo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Anna Maria. Davvero una bella disamina la tua. In merito all'orso del racconto, ti garantisco che è veramente un orso. Un abbraccio e ancora grazie per il tuo bellissimo intervento.

      Elimina
  17. Un racconto molto bello, Massimiliano. Perché sono madre di due adolescenti e ogni giorno provo a stabilire un contatto con loro che non sia fatto solo di rimproveri e veti.
    Il confronto, il dialogo, la comprensione, il mettersi nei loro panni per trovare la chiave giusta di lettura, il non trovarla subito, lo studio di un comportamento, l'andare oltre, tutto questo è il rapporto con dei ragazzi che si affacciano alla vita vera per la prima volta. Ci siamo passati tutti e sappiamo cosa significhino le intemperanze, la voglia di essere già grandi in un corpo ancora "piccolo", la ribellione come strumento per dire "ci sono"... si potrebbe scrivere per ore, ma il tuo racconto ha condensato in maniera egregia una porzione di questo incontro fra due dimensioni umane, due maturità che hanno comunque bisogno l'una dell'altra.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Marina, sono contento ti sia piaciuto.E' difficile, è difficile. Poi se l'ambiente circostante non ti aiuta è ancora più difficile. Genova è una città molto problematica.

      Elimina
  18. Gran bel racconto Massimiliano, sarai certamente un papà fantastico. ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Raffaele, grazie, davvero. Ti assicuro che sono un gran casinista.

      Elimina
  19. Mi hai fatto gonfiare gli occhi fino a non poterne più!
    La verità, forse, è che tutti abbiamo quella sacrosanta necessità di avere qualcuno accanto che ci rompa le palle. Che ci dica cosa fare e come, che ci dia delle regole. Sì, le regole. Perché da ragazzino le detesti, ma ti basta allontanarti un po' da casa per capire che era esattamente in quelle maledette regole, che stava tutto l'essenziale. Essere genitori non è per niente facile. Essere figli nemmeno. Dobbiamo trovarci e parlare di più. Avere il coraggio di cercarci a vicenda.
    Un racconto pieno di sensibilità, per niente da "orsi".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Valentina, in senso generale non posso che essere in sintonia con quello che dici. Per quello che tu definisci un racconto per niente da "orsi" devo ammettere, so che puoi capirmi, che gioco sporco. Gioco sporco nel senso che il mio raccontare e dissertare su tematiche relazionali è dovuto alla perenne fatica che devo compiere per essere sempre presente a me stesso. In realtà sono caratterialmente "complicato", spesso ho difficoltà a distinguere nei miei approcci con l'altro ciò che è simpatia, empatia, antipatia. Diciamo che lo scribacchiare è terapeutico e mi impone di soffermarmi sulle cose. Per tipo di sensibilità e per il lavoro che svolgo, mi pongo il problema, devo pormelo. La comunicazione, la comprensione, la "corrispondenza di amorosi sensi", sono tra i miei obiettivi. Per capire meglio chi amo, per poter meglio aiutare chi ha bisogno del mio supporto professionale. Per capire meglio me stesso specchiandomi nell'altro. In questo caso, ad esempio, i figli sono una palestra molto impegnativa. Sono un po' la cartina di tornasole per verificare quanto cazzo vali come essere umano. Sono matto eh?

      Elimina
    2. Ma va... quale matto? Oddio, come diceva il grande Lucio, e io gli credo, l'impresa eccezionale è essere normale. Per dire che questo bisogno di scrivere, di guardare l'altro e, nel caso specifico di un padre o una madre, i propri figli, credo sia assolutamente lecito e umano. Scrivere è terapeutico, verissimo. Anche io mi guardo meglio se guardo bene i miei figli. Mi sembra di crescere insieme a loro, non so mai chi insegna a chi. Ma so che è normale, che non potrebbe essere altrimenti. Scrivere mi dà l'opportunità di condividere questo "stato del mio essere". A 'sto punto, saremo matti in due... =)

      Elimina
    3. Grande Valentina, e allora... Viva i matti.

      Elimina
  20. Molto emozionante, Massimiliano. Non ti chiederò se è autobiografico... :)
    La comunicazione tra persone è già difficile, ma tra due generazioni è di gran lunga peggio. Poi mettici che l'adolescenza è il periodo in cui tutto è confuso, le emozioni ti scoppiano dentro e sei alla ricerca di punti di riferimento. E se non ti li danno i genitori, chi può farlo?
    Comunque, l'abbraccio alla fine si sentiva, anche se non espresso in forma fisica.

    PS Ormai i post "inutili" dovresti cominciare a numerarli! :P

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Maria Teresa. Sì, la comunicazione tra generazioni è difficile, tanto più che i vecchietti come me (che ne hanno fatte di tutti i colori in gioventù), sanno benissimo dei muri che i ragazzi sanno alzare nei confronti del mondo. Sì, è difficile.

      Elimina
  21. Il dialogo tra genitori e figli è molto importante e questo racconto fa riflettere molto.
    Saluti a presto.

    RispondiElimina
  22. Mi hai fatto commuovere! Non aggiungo altro amico mio....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Nick. Aspetto buone nuove sul tuo progetto, prima o poi arriva il riconoscimento.

      Elimina
  23. Emozionante, commovente, reale, partecipe,impetuoso,toccante...ecco cos'è il tuo racconto, vicinissimo alla realtà più di quanto si creda..Il vivere con tutte le difficoltà che comporta ci rende umani responsabili e ci dona la partecipazione..
    E' un piacere condividerti Massi! Bacio!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Nella, la tua sensibilità ti permette di vedere oltre. Un bacio grande anche a te.

      Elimina

I commenti sono graditissimi, nessuna opinione verrà censurata. Grazie a chi avrà voglia di lasciare un segno del suo passaggio