Ci sono persone che lasciano il segno, altre che salgono alla ribalta e ottengono fama e successo come meteore: passano e smettono di incidere sull'immaginario collettivo quando la moda finisce.
Poi ci sono gli
artisti, quelli veri. Il segno lo lasciano eccome, magari non sono conosciuti
ai più ma quello che hanno prodotto incide significativamente nel campo che li
ha visti protagonisti. Di loro rimane una canzone, una poesia, una fotografia,
un accordo riprodotto e copiato da altri, una metrica impossibile da concepire
per chiunque altro e che segna il passo per future composizioni, poco altro ma tanto per chi sa riconoscere i segni della grandezza. In
alcuni casi, come nello specifico di quello che trattiamo, una grande produzione artistica che semplicemente viene ignorata
dalla massa e valorizzata soltanto dagli
addetti ai lavori. Perché? Pregiudizio, poca attenzione ai contenuti e troppa
importanza all'immagine, alle mode. Tutto normale. In fin dei conti siamo nell'era della
superficialità globalizzata.
Voglio rendere omaggio a Umberto Bindi. Un cantautore, musicista,
poeta, interprete, portabandiera di una libertà sventolata in tempi storici
dove l'appartenere alla categoria degli uomini liberi poteva costarti la
carriera, l'isolamento, il ghetto mediatico.
Umberto Bindi era genovese, classe 1932. Insieme a De Andrè,
Lauzi, Paoli, Tenco, fece parte di quella che viene definita "la scuola
genovese del cantautorato". Furono anni meravigliosi di produzione
artistica e di idee. Gli anni sessanta irrompevano prepotentemente come un
vento rinnovatore in un'Italia piccolo borghese poco attenta alle nuove spinte
culturali. Le devastazioni della seconda guerra mondiale erano ancora ben presenti con cicatrici visibili
nelle menti e nei cuori delle persone, molti quartieri delle grandi città
presentavano ancora i segni dei bombardamenti (le ultime macerie nel centro storico
di Genova furono rimosse alla fine degli anni settanta), c'era solo voglia di
benessere materiale, di sviluppo. Incominciava quello che comunemente viene
definito il "Boom economico". In un'Italia bigotta e ipocritamente
puritana essere dichiaratamente omosessuale significava essere emarginati. Poco importava se scrivevi
autentici capolavori, se eri un artista raffinato, eri comunque tenuto fuori dai grandi
circuiti.
Non voglio qui approfondire la biografia di Bindi, tanto è
stato scritto e da persone più competenti di me. Non voglio nemmeno rispolverare facili polemiche. Molto materiale è facilmente
recuperabile in rete e ci sono mille spunti per farsi una personale idea sulla vicenda. Voglio soltanto fare un cenno di saluto a un grande
poeta. Dopo decenni di produzione artistica, di composizioni meravigliose,
Bindi muore nel 2002 a Roma, povero, in attesa dei benefici della legge Bacchelli
che tutela i nostri concittadini illustri e di provata importanza nel campo
delle scienze, delle arti, nell'economia e nella finanza. Molti personaggi
famosi nel mondo dell'arte e della cultura si fecero promotori dell'iniziativa
per salvaguardare la dignità almeno economica di questo grandissimo cantautore.
Troppo tardi. Poche righe, certamente inadeguate per descrivere chi è stato
Umberto Bindi. L'unico omaggio possibile è lasciare parlare la sua musica.
Chapeau, Umberto
© 2015 di Massimiliano Riccardi
Ero molto piccola e ricordo le prime cottarelle accompagnata dalla musica di Bindi che ci faceva sognare , ci portava in un'altra dimensione...poi questo grande e timido riservato autore scompare, le allusioni non mancano, le etichette si sprecano...Che peccato finire in questo modo così ignominioso..ma chi è d'animo sensibile non può scordarlo..
RispondiEliminaGrazie Massimiliano, anche se i miei ricordi sono molto sfumati mi hai riportato indietro con i calzini bianchi e i primi tremori del cuore!
Bacio della sera!
Nella, credo che quello che hai raccontato sia l'eredità più importante che un artista può lasciare: emozioni, sensazioni. Il tutto si traduce in amore per la vita e coraggio per affrontare questo mondaccio infame ma così bello da desiderare di non lasciarlo mai.
RispondiEliminaNon ho molti ricordi di Bindi, forse proprio perché è stato sempre emarginato e compariva poco in TV. Ma naturalmente la musica che ha composto fa parte della mia prima giovinezza. Grazie per questo ricordo.
RispondiEliminaJuan, come dicevo a Nella alla fine quello che conta è quello che si lascia, le maldicenze, le cattiverie con il tempo scompaiono, come muoiono gli artisti spariscono dalla faccia della terra anche le persone malevole. In merito al grazie... sono io che ringrazio te per la piacevole visita. Un salutone.
RispondiEliminaLa scuola genovese è stata una delle migliori, anche il merito della sua notorietà è in gran parte da attribuirsi a Faber, che è risucito a perpetuare le sue canzoni attraverso le generazioni. Altri come Tenco o come Bindi sono rimasti legati al loro tempo e temo un giorno possano venire dimenticati.
RispondiEliminaObsidian, hai ragione, se il risultato è quello che conta è vero che tutto il concetto di cantautorato si deve a DeAndrè (da noi è quasi sacro) per la fama che ha raggiunto e per l'apporto importante che ha dato. Vorrei solo ricordare che non sarebbe esistito Faber senza gli altri, nacque allora una sorta di laboratorio artistico dove i contributi furono scambievoli. Si conoscevano, erano amici e collaboravano. In merito al discorso della memoria futura, non fa una piega, gli altri (compreso Gino Paoli che è ancora vivo) rimarranno ricordi sfumati e apprezzati solo dai nostalgici. Ti ringrazio per la tua precisazione, per altro azzeccatissima.
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